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BMW M1, la supercar bavarese che sa d’Italia
Autore: Michele Di Mauro · Credits Ph: Michele Di Mauro
3 Agosto 2021Se mai è esistita una sportiva tedesca (Porsche a parte) capace di solleticare la fantasia dei teenager di tutto il mondo, la classica “poster car” da appendere in camera per capirci, è senza dubbio la BMW M1.
Prodotta dalla casa tedesca tra il 1978 ed il 1981, la M1 è la quintessenza della berlinetta sportiva: linea a cuneo, bassa e compatta, due posti secchi, motore centrale e gli immancabili, per il periodo, fari a scomparsa, montati per la prima volta su un modello dell’elica.
Letta così, sembrerebbe la descrizione di una classica granturismo italiana… e in effetti sullo stile della M1 c’è una mano nostrana, quella dell’Italdesign di Giorgetto Giugiaro, che ne traccia le linee, inconfondibili, sulla scia degli studi fatti a partire da inizio decennio sulle forme “appuntite”. Come dimenticare la Bizzarrini Manta, la Maserati Boomerang, la Porsche Tapiro, l’Alfa Romeo Iguana o alla Lotus Esprit, tra le tante disegnate a Moncalieri.
La BMW M1 di serie segue i concetti elaborati col prototipo Turbo Concept realizzato in occasione delle olimpiadi di Monaco del 1972. Un modello che nelle intenzioni doveva rappresentare il manifesto dell’eccellenza tecnologica raggiunta dall’industria automobilistica tedesca. Le forme in questo caso sono del talentuoso Paul Bracq il quale, a sua volta, si ispira alle migliori berlinette italiane della fine degli anni sessanta.
La Turbo, il cui nome essenziale ne comunica chiaramente la vocazione, è spinta da un propulsore turbocompresso da due litri derivato dalla sportiva 2002, portato alla soglia dei 200 cavalli di potenza. Per l’epoca si tratta di una motorizzazione d’avanguardia, come d’avanguardia sono le linee, modernissime, e alcuni gadget di bordo come il radar che segnala l’eccessiva vicinanza di altri veicoli: uno strumento che, a distanza di cinquant’anni, è un must dei giorni nostri.
Tornando alla progettazione della vettura, la carrozzeria in fibra di vetro è realizzata in Emilia su progetto Italdesign. Con la Esprit del 1976 infatti Giugiaro approfondisce gli studi sulle tecniche di stampaggio della vetroresina, sviluppando un proprio, efficacissimo, metodo di lavorazione. Esprit che, nella sua architettura generale, ricorda molto da vicino la nostra BMW. Ma quella di Giugiaro non è l’unica matita italiana: meccanica, telaio e sospensioni portano la firma di altre due eccellenze nostrane, ovvero Lamborghini e Dallara.
Rispetto al prototipo, la nuova berlinetta perde il propulsore sovralimentato in favore di del 6 cilindri in linea della 635 Csi, per il quale la neonata divisione interna Motorsport progetta una nuova testata bialbero a 24 valvole col supporto tecnico di Lamborghini, che inizialmente è designata per la produzione e il montaggio delle unità. Nel mentre Gian Paolo Dallara, all’epoca talentuoso ingegnere con brillanti esperienze in Ferrari e Lamborghini, si occupa dell’intera progettazione delle sospensioni. A Sant’Agata Bolognese si preparano anche le linee di produzione e si allestisce il primo prototipo per i test su strada, ma a un tratto la commessa sfuma a causa delle difficoltà finanziarie dell’azienda. Interrotta la collaborazione con la casa del toro, la realizzazione della carrozzeria in fibra di vetro viene affidata ad alcuni fornitori emiliani; alla consociata Baur vanno gli interni e alcune parti meccaniche mentre dell’assemblaggio finale si occupa direttamente l’Italdesign a Torino, dove confluiscono anche motore, sospensioni e organi meccanici principali, spediti direttamente dal dipartimento BMW Motorsport in Germania.
Il motore, collocato in posizione centrale e disposto longitudinalmente sul telaio tubolare a traliccio, è un sei cilindri bialbero da 3453 cc con lubrificazione a carter secco e alimentazione a iniezione multipoint meccanica indiretta Kugelfischer-Bosch. Nella versione stradale eroga 277 cavalli a 6500 giri/min e 330 Nm a 5000 giri/min. Il cambio è uno ZF manuale a 5 marce con la prima in basso, abbinato a un differenziale autobloccante al 40%. Le prestazioni sono adeguate alle aspettative, con 262 km/h di velocità massima e uno scatto da 0 a 100 km/h in 5,6 secondi, raggiunti scaricando a terra la potenza tramite cerchi in lega Campagnolo abbinati a pneumatici 205/55 VR16 all’avantreno e 225/55 VR16 al retrotreno.
Adeguato anche l’impianto frenante, costituito da 4 dischi autoventilanti ATE da 300 mm all’anteriore e 297 mm al posteriore, comandati da un doppio circuito idraulico con servofreno con ABS, quest’ultimo realizzato in tandem da BMW e Bosch.
La vettura viene presentata al Salone dell’automobile di Parigi del 1978 in veste di vettura stradale da omologare per le competizioni agonistiche. Nelle stesse settimane cambia però il regolamento FIA, che porta a 400 il numero di esemplari da produrre per ottenere l’omologazione nel Gruppo 5, costringendo la casa a cercare nuovi partner per raggiungere la capacità produttiva richiesta. Il risultato è una produzione oggi stimata in 456 esemplari (400 stradali e 56 da competizione) prodotti tra il 1978 ed il 1981. Numeri che rendono la M1 un pezzo da collezione raro e ricercato, in entrambe le versioni.
Le M1 da corsa sono mosse da un propulsore biturbo con potenza variabile tra 850 e 950 cavalli, montato su telaio alleggerito in alluminio e kevlar e carrozzeria alleggerita e dotata di diverse appendici aerodinamiche. In gruppo 5 la M1 colleziona solo un paio di vittorie, al Nürburgring e al Salzburgring. Alla 24 ore di Le Mans 1979 si fa comunque notare per la livrea dipinta nientemeno che da Andy Warhol.
Nella stagione 1978/79 la vettura è iscritta anche al Gruppo 4, abbandonato però già dopo poche gare per alimentare il campionato monomarca ProCar, a cui appartengono gli esemplari ancora oggi più celebri. L’operazione ProCar è una mossa commerciale di grande successo: le vetture, dotate di un propulsore elaborato a circa 470 cavalli, vengono affidate a piloti di Formula 1 ai quali le rispettive scuderie concedono di gareggiare con BMW a scopi commerciali. Il colpo di genio consiste nel disputare le gare sulle stesse piste europee del mondiale di Formula 1, il sabato pomeriggio dopo la fine delle sessioni di prova, godendo delle tribune piene del pubblico della massima formula e della presenza della migliore stampa sportiva internazionale. La stagione 1979 viene vinta da Niki Lauda, seguito nel 1980 da Nelson Piquet. Al loro fianco, nomi del calibro di Elio De Angelis, Didier Pironi e tanti altri. Unica eccezione, i driver di Ferrari e Renault.
Oggi la BMW M1 è una vettura rara e ambita. Molti esemplari sono finiti oltreoceano, e la maggior parte di quelli europei risiede tra Germania e Svizzera. In Italia la M1 è un’autentica mosca bianca per la rarità, i costi e, diciamolo pure, per l’agguerrita concorrenza nazionale. Scovarne una non è semplice, ed è per questo che, non appena ci è capitato, non abbiamo esitato un attimo ad immortalarla per il servizio di apertura di Agorauto.
L’esemplare fotografato alloggia da sempre alle porte di Roma. Utilizzata per alcuni anni, ha totalizzato poco più di trentamila km prima di essere ricoverata in un salone, in compagnia di altre vetture appartenenti a una collezione privata. Il servizio fotografico per Agorauto è stato l’emozionante pretesto per tirarla giù dai cavalletti e rimetterla per qualche ora con le ruote sull’asfalto. Si tratta di un esemplare totalmente originale, vernice compresa.
Ancora oggi l’M1 è una macchina speciale, forse più di allora. Le linee sono sportivissime ma al contempo asciutte ed eleganti. Giugiaro è uno stilista che non ha bisogno di presentazioni ma in questo caso è stato veramente un maestro, disegnando forme e proporzioni di raro equilibrio. Le ruote carenate, le maniglie incassate, il doppio logo posteriore e le uscite d’aria dissimulate sul corpo vettura sono di una pulizia esemplare. Alcuni particolari, come i fari a scomparsa e la “veneziana” posteriore, all’epoca erano dei must d’avanguardia mentre oggi aggiungono quel sapore retrò che accentua, se possibile ancor di più, il fascino di questa bella sportiva. Un buon gusto che troviamo anche all’interno, sportivo nell’impostazione, nella posizione di guida, nel cockpit raccolto e completo, ma sempre contraddistinto dal filo di understatement e razionalità che ci si aspetta da un prodotto teutonico. Impreziosito da quel tocco di estro italiano che lo rende irresistibile.
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