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DMC-12: il futuro secondo John DeLorean
Autore: Michele Di Mauro · Credits Ph: Michele Di Mauro
8 Aprile 2022– “Mi stai dicendo che hai costruito una macchina del tempo… con una DeLorean?”
– “Dovendo trasformare un’automobile in una macchina del tempo, perché non usare una bella automobile”.
In questo celebre scambio di battute del film “Ritorno al futuro” di Robert Zemeckis c’è probabilmente il segreto del successo collezionistico della Delorean DMC-12 che, a distanza di quarant’anni, non smette di crescere.
Per raccontare brevemente la storia di un uomo e del suo sogno, approfittiamo dello splendido esemplare di due trentenni che hanno appena realizzato il loro, dopo una ricerca durata appena una settimana.
E se una centrale nucleare può non essere il migliore dei set per realizzare un servizio fotografico automobilistico, nel caso di una DeLorean…
John DeLorean nasce il 6 gennaio 1925 a Detroit, la città simbolo dell’automobile americana. Figlio di modesti immigrati europei, studia ingegneria fino allo scoppio della guerra; prosegue gli studi negli anni cinquanta frequentando anche un corso post laurea in ingegneria automobilistica alla Chrysler, da cui ottiene in seguito il primo incarico lavorativo. Successivamente passa alla Packard e, nel 1956, alla General Motors, dove si fa notare per l’ideazione e lo sviluppo di diversi brevetti. Nel 1961 viene nominato capoingegnere del marchio Pontiac e il suo primo progetto, la celebre GTO del 1964, lancia il fenomeno delle muscle car; un successo che gli vale la promozione a responsabile del marchio, il più giovane della storia del gruppo GM.
La ascesa professionale di John DeLorean è inarrestabile: nel 1969 diventa responsabile di Chevrolet e, nel 1972, vicepresidente della sezione auto e veicoli commerciali della General Motors. In quel periodo è una figura che si fa notare, troppo giovane e troppo rampante perfino per l’America delle grandi opportunità: non è il classico manager posato, quanto piuttosto una celebrità, una sorta di “rockstar dei colletti bianchi”, sempre circondato di bellissime attrici e modelle, con amicizie influenti a Hollywood e con idee rivoluzionarie per l’azienda, spesso non condivise o addirittura sgradite ai suoi colleghi dirigenti, sempre più insofferenti. Il punto di rottura arriva quando, nel 1973, DeLorean abbandona definitivamente il colosso americano per trasferirsi a New York e dedicarsi alla creazione di una propria casa automobilistica.
La DeLorean Motor Company nasce ufficialmente il 24 ottobre 1975 a Detroit, con una missione ambiziosa: creare automobili “etiche”, sicure, comode, durevoli ed ecologiche. Una visione unica e incredibilmente moderna per gli anni settanta. I primi schizzi della vettura sono addirittura dello stesso John: l’auto del suo sogno di costruttore deve essere una sportiva due posti, spaziosa (DeLorean era alto 1,93 metri) e facilmente accessibile anche se chiusa tra le altre auto parcheggiate.
Grazie alla sua elevata esposizione mediatica, alle ottime doti manageriali e alle sue ancor migliori doti di oratore e persuasore, DeLorean crea in breve tempo una grande aspettativa per il suo nuovo prodotto, contando anche sulla collaborazione di stampa e gossip, con lo scopo di attirare investitori e finanziare la sua ambiziosa avventura. Il prototipo è pronto in meno di due anni, e si presta perfettamente all’operazione di marketing: disegnato a Torino dalla ItalDesign di Giugiaro, è bellissimo, sportivo, moderno, accattivante. Le premesse ci sono tutte e gli investimenti fioccano, ma con essi anche le spese: DeLorean alterna al lavoro una vita privata decisamente mondana ed estremamente costosa, che in diversi momenti mette in crisi lo sviluppo stesso del progetto. Al completamento del secondo prototipo il capitale iniziale di oltre 5 milioni di dollari è già esaurito, e sono necessari investimenti privati per ulteriori 3 milioni e mezzo per proseguire con lo sviluppo all’interno del primo stabilimento di Irvine, in California, finanziato tra gli altri da celebrità come Sammy Davis Jr, il magnate delle corse Roger Penske e il conduttore della NBC Johnny Carson, e diretto da William T. Collins, progettista ex Pontiac con cui DeLorean aveva realizzato la GTO.
Per la costruzione del sito produttivo invece, l’ingegnere americano valuta diverse alternative, prima in patria e poi in Europa, in cerca delle condizioni e degli investimenti più favorevoli. L’uovo di Colombo lo trova in Irlanda del Nord, a Dunmurry, poco distante da Belfast, in un territorio martoriato dal terrorismo separatista dove il tasso di disoccupazione è prossimo all 80%, nel quale la promessa di creare posti di lavoro qualificati rappresenta una prospettiva allettante per i laburisti. Il 2 ottobre 1978 si tiene la cerimonia inaugurale e si dà ufficialmente il via libera alla costruzione della fabbrica, per la quale il governo britannico investe 120 dei 200 milioni di dollari necessari.
Nel mentre, la vettura subisce un profondo processo di revisione per essere adattata alla produzione di serie. Il motore rotativo Wankel originariamente previsto viene sostituito con un meno ambizioso propulsore classico a ciclo Otto, sia per la maggiore affidabilità che per i minori consumi. Sono infatti gli anni difficili della crisi del Kippur, col prezzo del petrolio alle stelle. Dopo aver valutato soluzioni a quattro cilindri Citroen e V6 Ford, giudicate poi inadatte per il mercato USA, alla fine si sceglie il V6 PRV a iniezione Bosch sviluppato da Peugeot, Renault e Volvo, modificato per essere montato posteriormente.
DeLorean aveva poi investito su un brevetto per uno chassis realizzato con una tecnologia molto innovativa ma all’epoca ancora acerba, l’ERM (Elastic Reservoir Moulding), che prometteva di abbassare il peso e i costi di produzione. Una soluzione interessante ma poco adatta alla produzione di serie, che pure viene abbandonata in favore di un classico telaio in acciaio. Sull’altare dei costi si sacrificano anche l’airbag e il sofisticato computer di bordo inizialmente previsti. La lunga serie di modifiche strutturali richiede quindi una totale revisione ingegneristica sia del progetto che del processo produttivo, affidata a Colin Chapman, fondatore e proprietario della Lotus. Gli estremi dell’accordo (si parla di dieci milioni di dollari pagati in nero) frutteranno a Chapman un processo per evasione fiscale, che si interromperà con la morte dell’inglese, nel dicembre del 1982, praticamente in contemporanea con la fine della DMC-12. Ma questa, seppur affascinante e tuttora carica di interrogativi, è un’altra storia.
Chapman sostituisce molte componenti problematiche della DMC-12 con materiale già in uso nella produzione Lotus, in particolare della Esprit, di cui nella DeLorean troviamo lo chassis a doppia Y e le sospensioni, ben adattabili alla nuova carrozzeria disegnata da Giugiaro, autore pochi anni prima anche della berlinetta di Hethel. Le modifiche estetiche sono infatti minime: rimangono le affascinanti portiere ad ali di gabbiano e rimane pressoché inalterata pure l’inedita carrozzeria in acciaio spazzolato vista sui prototipi. Un’idea, quella delle lamiere non verniciate, proposta anni prima dal designer italiano sul prototipo Alfa Romeo Iguana, la cui funzione doveva essere di semplificare la rimozione di piccoli graffi semplicemente lucidando la carrozzeria, senza bisogno di riverniciature.
Le pesanti porte invece rappresentano sin da subito una gatta da pelare, e richiedono il brevetto di speciali barre di torsione brevettate, pretensionate criogenicamente e sostenute da molle a gas. Tra le particolarità, il movimento che le ruota fuori sagoma di appena 28 centimetri, e i finestrini ridotti a causa della portiera corta, come sulla Lamborghini Countach.
La produzione della DMC-12 parte a gennaio del 1981, con un prodotto profondamente meno interessante e innovativo di quanto originariamente immaginato e, con un ritardo di due anni rispetto alle previsioni, dovuto in larga parte all’inesperienza del personale e alla lunga serie di problemi di gioventù della vettura, inizialmente venduta addirittura senza alcuna garanzia. In America vengono approntati due centri di riparazione specializzati proprio per far fronte ai problemi di inaffidabilità dei primi lotti di produzione.
Alla prova dei fatti, il motore PRV V6 a 90° di 2850 cc imprime alla DeLorean prestazioni parecchio inferiori alle aspettative e, soprattutto, a quanto le forme della vettura lascerebbero immaginare. La casa dichiara uno scatto da zero a cento in meno di nove secondi, ma nei test su strada le riviste specializzate non riescono mai a scendere sotto i 10. Realizzato in lega leggera con distribuzione ad un solo albero per bancata, il propulsore eroga infatti solo 150 cavalli nella versione europea e appena 135 in quella per il mercato statunitense, con un consumo dichiarato di 8 chilometri per litro. Il posizionamento posteriore a sbalzo poi causa uno sbilanciamento dei pesi, 35% sull’avantreno e 65% sul retrotreno, che conferisce un caratteristico quanto buffo aspetto “impennato” alla vettura.
Sulla DMC-12 il V6 può essere abbinato a un cambio automatico a tre marce o a un manuale a 5 marce di derivazione Renault 30, soluzione scelta dalla maggior parte dei clienti.
Le sospensioni, derivate dalla Lotus Esprit, sono indipendenti a quadrilatero sull’asse anteriore e multilink al posteriore, con ammortizzatori telescopici e molle elicoidali; l’impianto frenante è servoassistito con dischi da 254 mm sull’anteriore e 267 mm sul posteriore, chiamati a frenare cerchi in lega Campagnolo da 14″ sull’avantreno e 15″ sul retrotreno, equipaggiati con pneumatici Goodyear NCT radiali.
Pochissimi gli optional a listino, appena sette: cambio automatico, telo copriauto, tappetini interni con logo, due tipi di bande laterali adesive, portapacchi e portasci. Decisamente completa, invece, la dotazione di serie, con sedili e finiture in pelle, aria condizionata, impianto stereo di alta potenza, alzacristalli e specchietti elettrici, chiusura centralizzata, volante regolabile in altezza e lunghezza, vetri colorati, modanature protettive alle fiancate, tergicristalli intermittenti e lunotto termico.
Ma se le difficoltà produttive sembra vadano almeno in parte risolvendosi, le cose si complicano a livello finanziario e personale per il fondatore, coinvolto in un intreccio industriale, politico e di opinione pubblica degno delle migliori produzioni della Hollywood che egli tanto ama e frequenta.
Le aspettative disattese della vettura innescano infatti un declino dei risultati di vendita già dopo pochi mesi dall’avvio delle vendite, e con esso iniziano le difficoltà economiche dell’azienda e dell’uomo DeLorean, costretto ad imporre ai rivenditori l’acquisti di alcuni esemplari e, successivamente, per far fronte al tracollo economico, coinvolto in un traffico di cocaina, dal quale verrà poi scagionato ma con un’immagine ormai compromessa. Ma anche questa è un’altra storia e, come quella di Colin Chapman, merita una trattazione separata. Per chi volesse approfondire, in rete si trova comunque di tutto, comprese alcune trasmissioni delle intercettazioni e dei verbali del processo per droga a carico di John DeLorean, oltre ad un appassionante docufilm biografico su Netflix.
A queste vicende si aggiungono gli aumenti repentini dei costi elevati di produzione e un tasso di cambio sfavorevole, che abbassano la produzione dagli iniziali 10/12.000 pezzi all’anno a soli 7.000, e portano il prezzo di vendita dagli annunciati 12,000 (da cui il nome DMC-12) a 18,000 a ben 25,000 dollari.
Infine il nuovo governo conservatore, guidato da Margaret Thatcher a partire dal 1979, onora solo in parte gli accordi presi precedentemente dai laburisti, mentre il colpo di grazia definitivo arriva dalla crisi dell’industria automobilistica americana. Il risultato è che la DeLorean Motor Company fallisce alla fine del 1982, dopo meno di due anni dall’avvio della produzione e poco meno di 9.000 esemplari costruiti.
Dopo essere stato scagionato dalle accuse per droga nel 1984, John DeLorean trascorre comunque ancora molto tempo in tribunale, alle prese con circa quaranta processi che lo spogliano progressivamente di tutto il suo patrimonio. La sua villa di campagna a Bedminster, New Jersey, viene acquistata da Donald Trump, che vi realizza il suo Trump National Golf Club.
Negli anni 90 DeLorean tenta nuovamente un’avventura automobilistica, provando a realizzando l’erede della DMC-12; per finanziare il progetto lancia un innovativo orologio al quarzo a carica automatica, ma l’operazione non porta i frutti sperati. Dichiara quindi bancarotta nel 1999 e, il 19 marzo 2005, muore di ictus.
La storia della DeLorean non muore col suo fondatore. Oggi le DMC-12 sono vetture ricercate e collezionate in tutto il mondo; tantissimi sono i club ad esse dedicati, mentre le quotazioni salgono costantemente. Merito anche, o forse soprattutto, del successo della saga cinematografica di “Ritorno al futuro”, in cui i protagonisti usano una DeLorean pesantemente modificata per viaggiare nel tempo. A proposito del film, una curiosità che non tutti conoscono: nella sceneggiatura originale il protagonista Michael J. Fox avrebbe dovuto viaggiare nel tempo chiudendosi in un frigorifero. Il produttore Steven Spielberg, tuttavia, nel timore che i bambini potessero emulare le sue imprese nelle cucine di casa, sostituisce il frigorifero con una DMC-12. L’impatto mediatico è tale che John DeLorean, dopo aver visto il film, invia personalmente una lettera al produttore, Bob Gale, per ringraziarlo di aver reso l’auto tanto popolare.
Tornando all’azienda e alle sue vetture, nel 1995 Stephen Wynne, ex imprenditore meccanico di Liverpool, crea una nuova DeLorean Motor Company in Texas, acquistando il marchio, i diritti, i brevetti (oltre 100) e tutte le parti di ricambio all’epoca disponibili. Al momento dell’interruzione della produzione irlandese erano infatti già state prodotte e acquistate tantissime parti meccaniche e di carrozzeria, utili per realizzare ancora qualche migliaio di esemplari già pianificato. Un lavoro che viene completato da Wynne a partire dal 2008, affiancando alla produzione delle vetture assemblate da zero il restauro e il ricondizionamento delle vetture esistenti. Un mercato che vanta tuttora una lista di attesa di diversi mesi. Proprio dal Texas arriva la Delorean di questo servizio, originale del 1981 ma restaurata in DeLorean e per un periodo auto personale di Wynne, prima di essere spedita in Italia nel 2006 al nuovo acquirente, che l’ha poi ceduta a Ivan e Renato, gli attuali proprietari, all’inizio del 2022.
La cura texana su questo esemplare si percepisce molto più al volante che all’esterno, dove la vettura adotta soltanto il cofano anteriore liscio degli ultimi esemplari (sui primi era nervato e con sportello del carburante separato) e fari di profondità più moderni ed efficienti. Su strada invece è tutta un’altra musica: la vettura è stata integralmente revisionata nella meccanica ed eroga oggi circa 200 cavalli a fronte dei miseri 135 originali; la linea di scarico è rivista (e si sente) al pari dell’assetto, più rigido ed equilibrato tra i due assali, e dell’impianto frenante. Il corpo vettura si presenta infatti ben piantato a terra e di questo beneficiano sia l’aspetto che la stabilità, a discapito ovviamente del comfort, soprattutto sulle nostre strade non sempre perfette.
Guidare una DMC-12 è un’esperienza particolare: la macchina è un concentrato di fascino irresistibile, ed è impossibile attraversare un centro abitato senza far voltare almeno la metà dei passanti. La carrozzeria lucida e le portiere che si aprono verso l’alto poi sanno di futuro ancora oggi. Su strada invece è, in tutto e per tutto, un’esperienza anni ottanta, nel bene e nel male. Ma, come spesso accade, i difetti di ieri sono “peculiarità” oggi, e accrescono, se possibile ancor di più, la personalità di un oggetto unico, da trattare con rispetto. Oggetto che, dopo la cura della nuova DeLorean Motor Company, va molto meglio che in passato, pur senza perdere un briciolo di personalità. In attesa della nuova DeLorean, recentemente annunciata da ItalDesign, guidare una DMC-12 è in assoluto il modo più piacevole e soddisfacente per onorare la memoria di un imprenditore visionario.
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